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Francesco De Molfetta - Giulia Maglionico

a cura di

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ELDORADO CHIPS

Gola e vanità, due passioni che crescono con gli anni.
ALESSANDRO MANZONI

A proposito di politica, ci sarebbe qualche cosarellina da mangiare?
TOTO'

Cibo e politica appaiono come il trend del momento, perennemente sulla bocca di tutti e sembrano aver sostituito i valori culturali e sociali della nostra esistenza. Attualmente sono considerati come le due facce della stessa sofferente medaglia, tematiche che permeano l'attualità e che vanno a scandagliare problematiche attinenti alla nostra percezione del vissuto. Se noi siamo quel che mangiamo, come sosteneva il filosofo tedesco Ludwig Feuerbach, e l'alimento umano è il fondamento della cultura e del sentimento, di conseguenza il nostro rapporto col cibo assume un'importanza morale che va al di là del semplice atto del mangiare, andando a richiamare necessariamente anche l'ambito etico-politico della persona stessa. Nelle opere di Francesco De Molfetta e Giulia Maglionico, sebbene molto diverse per tecnica e rappresentazione iconografica, traspare la medesima finalità del voler raccontare uno status contemporaneo vicino ad una decadenza culturale e sociale oramai irreversibile, attraverso l'affilata arma dell'ironia. Partendo da una pornografia alimentare (non a caso sui social network si è diffuso il termine foodporn e nei ristoranti esotici la dicitura all you can eat) che ambisce all'eccesso, e si nutre di gare e record di abbuffate, rappresentative di una sovrabbondanza carente di significato asservita alla sazietà a tutti i costi, Francesco De Molfetta rappresenta, attraverso la tradizionale procedura della porcellana smaltata a terzo fuoco, la mancanza di lucidità dovuta all'abbuffamento, e la conseguente privazione di una possibilità di ragionamento. Nei suoi soggetti, che riprendono calchi originali in gesso in stile tardo barocco e rococò per la leziosità della composizione, adattati ad un sentire contingente che gioca sul contrasto con la preziosità dell'opera, l'artista fa riferimento ai simboli consumistici maggiormente diffusi dalle multinazionali che decontestualizza - incastonandoli come feticci tra un'alzatina, un centrotavola e qualche dolcetto colorato e apparentemente innocuo - ponendo il manufatto di stampo settecentesco all'interno di una rappresentazione metaforica di una realtà contraffatta, in cui gli alimenti da ingerire diventano un apparente surrogato di felicità, un veicolo atto a trasportarci in una bulimia esistenziale e smodata che scatena pulsioni incontrollate e oltremodo pericolose, attraverso la volontà di una iper – nutrizione.

Anche i titoli fanno la loro parte nel gioco semantico, così il Cocalesse che rimanda agli antichi calessi dei viandanti si trasforma nel venditore di bibite dei food truck all'ultima moda, la Donutella ci osserva con uno sguardo imbolsito e intossicato dal nutrimento malsano col quale pare fondersi, i puttini di un centrotavola tradizionale aprono lattine di Red Bull, i cicisbei e le damine si incontrano sotto il logo di Mc Donald's, le Tre grazie offrono in dono ad un ipotetico Messia i feticci del junk food americano e la Mamadonnalds nutre il piccolo con Coca - cola. Non mancano i riferimenti ad un certo becero machismo in Bang Bang dove un bambino gioca a fare il cowboy con espliciti riferimenti sessuali e ai danni del capitalismo in De-capital dove la morsa del debito è una carta di credito che taglia la gola alla coppia, o nel Ricco, animaletto con gli occhi a dollaro e griffato con la carta di credito. A chiudere il cerchio di questo mondo edulcorato è la MILKow, che dietro ad un innocente gioco infantile nasconde l'agghiacciante indottrinamento dell'infanzia al consumo a scapito della spensieratezza dovuta. Il tema politico ritorna nel vaso da fiori con il volto del Furher, che assume maggiore terribilità attraverso l'apparenza straniante di oggetto borghese e va ad allacciarsi alla poetica di Giulia Maglionico che nella politica trova il suo efficace divertissement. Nell'installazione Poker Face, che non si discosta dall'idea di ingordigia del nucleo precedente, va in scena difatti il gioco delle carte applicato alla smodatezza del potere, che assume anch'essa una valenza bulimica nel momento in cui diventa un'abbuffata allegorica di promesse e favori. Con un tratto pittorico grafico e divertente che richiama la maxi illustrazione ma anche un forte espressionismo che rafforza la potenza delle quattro opere di grande formato, l'artista mette in scena una partita a poker senza asso vincente, in cui tre celebri personaggi dell'attualità politica riprendono in chiave ironica e con i loro attributi iconici e caratteriali la personificazione dei soggetti delle carte da gioco, con gli stessi vestiti decorati secondo una libera interpretazione dell'autrice. I leader riprodotti in scala reale bidimensionale e sotto forma di fumetto, impongono la loro spregiudicata partita su un mondo oramai decadente e corrotto, lasciandone presagire la futura trasformazione in un fantomatico Eldorado grazie alla possibilità dell' azione politica di esaudire ogni desiderio. L'illusione e la vacuità di una partita a carte rimanda in modo giocoso allo scacchiere politico internazionale, in cui gli uomini non sono altro che pedine in mano a capi di Stato che manovrano sapientemente le vite degli altri. E se la posta in gioco è veramente alta poichè comporta la possibilità di arraffare tutto il possibile, la decadenza di un'epoca storica si nasconde allegoricamente dietro ai pacchetti di chips dorate e saporite in cui si annidano germi nascosti che ci portano inesorabilmente verso la distruzione. Francesca Baboni

FRANCESCO DE MOLFETTA

Francesco De Molfetta, nato nel 1979, vive e lavora a Milano, in Italia. Il suo lavoro, scoperto dal famoso gallerista dell’Arte Povera Franco Toselli, è stato esposto in Italia e all’estero in tutte le principali fiere d’arte a partire dal 1998. Ha esposto in tutta Europa in musei e gallerie private. Nel dicembre 2013 è stato invitato al Centro di design L.A. MOCA in una mostra sulla scena New Pop e Surrealista. Nel 2010 l’esplosione è con la sua enorme provocazione alla Biennale d’Arte Sacra con la scultura di Lourdes Vuitton. Ha collaborato con marchi come Nike, Henry Cotton’s, Fender chitarre e Lamborghini. Ha scritto e diretto quattro cortometraggi, uno dei quali ha vinto il primo premio Ambrogino d’Oro al Festival di Milano. Nel 2010 la prima sala museale a Vitoria nei paesi Baschi, nel 2017 una personale presso il Museo della Triennale di Milano.

GIULIA MAGLIONICO

Nasce a Firenze nel 1977. Nel 2003 si laurea in lettere con il massimo dei voti presso l’Università di Parma. Nel 2008, dopo diverse ricerche ed esperienze espressive e un diploma di grafico pubblicitario, attraverso la sua passione per il disegno, approda alla pittura. Nel 2012 l’incontro importante con Rosanna Chiessi storica gallerista del gruppo Fluxus e con la critica d’arte e curatrice Francesca Baboni. Nello stesso anno l’artista inizia a lavorare con la Galleria Il Castello di Brera a Milano. Sempre nel 2012 viene selezionata artista per la linea 55DSL gruppo DIESEL Industry, Breganze Vicenza. Nel 2013 disegna per la linea di design e-my del Gruppo Guzzini S.p.A. Ad oggi collabora anche con altre importanti Gallerie come la Galleria Pananti di Firenze, la Galleria Annovi di Sassuolo e la Galleria Bonioni di Reggio Emilia. Nel 2015 Vittorio Sgarbi seleziona una sua opera per l’evento“Expo arte contemporanea”.

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